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Niente di nuovo (o quasi) sul fronte nucleare

Niente di nuovo (o quasi) sul fronte nucleare. L’Italia è sempre in balia di forze inerziali che impediscono al decommissioning di decollare una buona volta. Le nostre centrali sono lì, sono sempre lì, quasi intatte da circa 30 anni. Ovvero da quando, dopo il referendum popolare – era il 1987 – per la chiusura degli impianti atomici, il nostro Paese avrebbe dovuto smantellarle, e non l’ha ancora fatto.

Ad ammettere questa sostanziale stagnazione, durante un’audizione informale il 16 novembre in Commissione Industria al Senato, è anche il nuovo amministratore delegato di Sogin Luca Desiata. Che però ha annunciato un primo significativo intervento di smantellamento del nucleo della Centrale del Garigliano a partire dal 2019, in anticipo di quattro anni rispetto al cronoprogramma già pubblicato. Vogliamo accogliere l’annuncio come un segnale di cambiamento. Poi si vedrà.

Intanto però i mostruosi ritardi sulle operazioni di decommissioning finiscono per pesare sulla bolletta elettrica dei consumatori, costretti a sborsare centinaia di milioni di euro l’anno. Fino al 2014 la stima si aggirava intorno ai 300 milioni. Mentre nel 2015 i costi sono improvvisamente raddoppiati, schizzando a 600 milioni di euro a causa di non meglio precisate “operazioni particolari effettuate nel corso di quell’anno che solo in parte sono connesse alla gestione del combustibile”. Ma di quali operazioni si tratti nessuno lo dice, né quali siano i costi esatti di queste operazioni.

Così come restano ancora senza risposta le nostre domande sullo stato attuale dei contratti con la Gran Bretagna in merito al combustibile nucleare italiano trattato (o il suo equivalente come attività). Deve rientrare in Italia? Se sì, quando? Stiamo discutendo col governo britannico una proroga di quel contratto fino al 2025 (ovvero quando dovrà rientrare pure quello inviato in Francia)? Oppure sarà per un’altra data ancora, che magari vada oltre il 2025? E quali saranno gli eventuali costi?

E così intanto i costi lievitano, e più tempo ci vorrà a concludere le operazioni di smantellamento e smaltimento delle scorie nucleari, più il prezzo sarà alto. Andare avanti si può, ma prima – o contestualmente – si agisce su altri fronti. Le cosiddette attività di decommissioning, infatti, sono strettamente legate ad altri fondamentali passaggi sui quali governo e maggioranza se la prendono comoda. In poche parole possiamo parlare di smaltimento scorie e riprocessamento del combustibile nucleare solo se il nostro Paese adotterà finalmente un piano nazionale strategico, che preveda tempi certi per lo smantellamento degli impianti e un Deposito nazionale dove mettere i rifiuti radioattivi. Poi viene la cosiddetta Cnapi (Carta nazionale delle aree potenzialmente idonee) per l’individuazione del sito su cui sorgerà il Deposito, che però giace da quasi due anni nei cassetti ministeriali.

Una volta fatto questo sarà poi il momento di costruirlo, quel deposito. E solo a quel punto potremo dirci sulla strada giusta. Finora possiamo solo registrare una impasse che dura da 29 anni e che evidentemente fa comodo a tutti. La relazione Luca Desiata, infatti, è sostanzialmente identica a tutte quelle dei suoi predecessori. Ed è lo stesso Desiata ad ammettere gli incredibili ritardi su cui è necessario lavorare per sbloccare la situazione. Così, nel fare gli auguri di buon lavoro al nuovo consiglio di amministrazione, dobbiamo però notare che per ora i segnali per una nuova visione strategica complessiva che ci faccia uscire dal pantano sono ancora troppo deboli.

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