Con il decreto popolari il governo ha deciso che banche a voto capitario superiori alla dimensione di 8 miliardi di euro sono inadatte a sopravvivere sui mercati finanziari globali e a contribuire al bene comune.
Peccato che il resto del mondo non la pensi allo stesso modo.
Non la pensa così l’Europa perché le prime cinquanta banche a voto capitario nell’UE hanno una dimensione media superiore ai 120 miliardi di attivo (ben oltre la soglia degli 8 miliardi che per il nostro governo rappresenta il confine tra il possibile e l’impossibile, tra il bene e il male).
Non ce lo chiede neanche la Merkel perché la stessa ha deciso di ricapitalizzare pubblicamente le proprie grandi banche popolari (le Volksbanken) ritenendole un pilastro fondamentale dell’economia sociale di mercato. Le nostre non hanno bisogno di ricapitalizzazioni pubbliche ma le chiudiamo mentre usiamo soldi dei contribuenti per cercare di far ripartire alcune esperienze fallimentari di banche spa come quella del MontePaschi.
I colleghi olandesi, tedeschi, austriaci, francesi, finlandesi le cui economie beneficiano dell’apporto di grandi banche a voto capitario si chiedono stupefatti cosa sta accadendo in Italia.
Sono perplessi gli amici canadesi che hanno probabilmente il miglior sistema finanziario del mondo, non toccato dalla crisi, con un modello di banca a voto capitario che ha conquistato più del 40% del mercato.
Dovrebbe essere il mercato, i cittadini consumatori e risparmiatori in normali condizioni di libertà e democrazia, a decidere in quale modello di banca vogliono investire i loro risparmi. Da noi è invece il governo che, a differenza di quanto deciso negli altri maggiori paesi ad alto reddito, a limitare con un editto questa nostra libertà.
Peccato ancora che dati nazionali ed internazionali ci ricordano negli ultimi anni le banche a voto capitario e in particolare le popolari hanno erogato in proporzione al loro attivo significativamente più credito a imprese e famiglie delle banche spa dove queste ultime, stressando il principio della massimizzazione dell’utile non hanno oggi più interesse a dedicarsi ad un’attività a basso rendimento e alto rischio come far credito in un mercato altamente competitivo. Il risultato di questo decreto sarà dunque quello di inaridire una fonte importante di credito a imprese e famiglie. E di lasciarci soli con un modello di banca, che per la sua natura cerca di vendere di tutto allo sportello meno che erogare credito.
Non è un caso che, difronte a questa radicale contraddizione tra ricerca del massimo profitto e imperativo del credito un commentatore autorevole del Financial Times Martin Wolff si sia domandato provocatoriamente se non sia il caso di tornare alla banca pubblica. Non ce n’è bisogno, basterebbe molto meno, ovvero lasciare in vita e rinforzare il modello di banca a voto capitario non massimizzatrice di profitto e muovere verso la separazione tra banca commerciale e banca d’affari come stanno facendo le principali economie ad alto reddito mondiali. Con il decreto popolari noi andiamo invece contromano e, come ha detto un giornalista di Repubblica non senza ironia, ci aspettiamo che le pratiche di fido degli artigiani veneti con le loro scarse vengano esaminate in qualche lontana capitale oltreoceano e preferite con i loro miseri rendimenti per la banca a qualche operazione finanziaria di trading.
I rapporti di molte organizzazioni internazionali a favore della biodiversità bancaria gravemente lesa da questa decisione confermano che non esiste nessuna motivazione economica o giuridica a supporto di questa decisione. La biodiversità è fondamentale perché tipologie di crisi diverse colpiscono in modo selettivo diversi modelli di banca e avere diversità e ricchezza rende i sistemi più resilienti. Le banche a voto capitario come dimostrano gli studi economici hanno minore volatilità degli utili, maggiore intensità di credito sul totale dell’attivo. Averne di meno indebolirà il nostro sistema finanziario esponendolo molto di più ai rischi di nuove gravi crisi finanziarie lasciandoci con banche pericolosamente esposte verso il trading speculativo e senza la protezione, come in molti altri paesi, della separazione tra banca commerciale e banca d’affari.
Vivremo il paradosso e la beffa di ridurre la capacità del nostro sistema bancario di finanziare famiglie e imprese proprio nel momento in cui la banca centrale europea ci inonda di liquidità sperando che essa finisca per alimentare il credito.
Le 10 banche coinvolte hanno passato gli stress test meglio della media del settore e hanno dimostrato di poter raccogliere capitale rapidamente nei momenti di bisogno perché gli investitori guardano alla qualità di una banca e non alla possibilità di ottenerne il controllo.
Le banche popolari come ogni modello di banca hanno i loro pregi e i loro limiti. E per curare questi limiti esistevano ricette molto più opportune relative alle regole di voto, al ricambio delle classi dirigenti, ai fondi di ricapitalizzazione secondo modalità già adottate per il sistema delle bcc.
Ma soprattutto la presenza di un limite alla libertà di iniziativa economica è un assurdo giuridico che sarà spazzato via dal primo ricorso alla corte costituzionale avviato da soci delle vecchie banche a voto capitario e quindi il lavoro del governo di questi giorni sarà inutile. Come confermato da quattro illustri pareri di costituzionalisti (Ainis,Flick, Mirabelli, Imposimato) che hanno sottolineato come il golpe popolari viola 7 articoli della costituzione e soprattutto il 45 che dichiara che l’Italia sostiene e accresce la forma cooperativa in economia.
Quando il ricorso avverrà e la corte costituzionale darà ragione ai ricorrenti la sciagurata decisione di oggi si rivelerà un boomerang per lo stesso governo producendo confusione, caos e ulteriori strascichi tra i soci delle banche popolari. E’ quello che dobbiamo assolutamente evitare e che oggi possiamo evitare con la saggia decisione di accantonare questa decisione.
La storia renderà ragione e ci consentirà di capire pienamente quello che è successo in questi mesi. Per ora ci resta purtroppo lo squallore della cronaca. Abbiamo ancora un’ultima occasione per non essere complici, di non mettere la nostra firma sotto quella che sarà ricordata con una brutta ed inutile pagina del nostro paese.