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La truffa del Kamut e le bugie che ci hanno raccontato

Lo sapete che il Kamut® non è un tipo di cereale, bensì un marchio?

Finora abbiamo comprato il kamut pensando di acquistare un prodotto con particolari valori nutrizionali, originati magari con un cereale quasi miracoloso. In realtà è solo una delle più grandi trovate pubblicitarie del secolo.

Parliamo di Kamut, nome scientifico khoransan o “grano rosso” o “frumento orientale”, un cereale che fa parte della famiglia dei Triticum Turgidum – la stessa del grano duro per intenderci.
La prima cosa importante da dire è che non è assolutamente adatto all’alimentazione dei celiaci, perché di fatto contiene glutine. Il successo che ha riscosso questo prodotto è accompagnato da una moltitudine d’informazioni che spesso non corrispondono alla realtà, o per meglio dire non del tutto.

La Kamut International è un’azienda fondata alla fine degli anni ’80 nello stato del Montana, quando Bob Quinn iniziò il commercio di prodotti di una varietà di cereale (nominata grano Khorasan) alla quale aveva dato un nome nuovo.

Kamut® significa letteralmente “grano in egiziano antico” e ha due piramidi come simbolo. Si prova in questo modo, di far passare il concetto che sia lo stesso che veniva coltivato ai tempi dei faraoni, anche se, in verità, come viene riportato da Dario Bressanini nel libro Le bugie nel carrello, “Il grano orientale o grano Khorasan viene dal nome della provincia dell’Iran dove ancora oggi si coltiva. Alla base della trovata commerciale c’è anche la storiella tanto affascinante della sua origine. Leggenda vuole che derivi dal luogo dalle tombe dei faraoni: ma si tratta solo di una facile suggestione. La vera zona d’origine è quella compresa tra l’Anatolia e l’Altopiano iranico. Ecco spiegata la vicinanza con l’Egitto.

Qualunque agricoltore può piantare la stessa varietà di grano, ma non può commercializzare il suo prodotto con quel nome. Non c’è da stupirsi, scrive Bressanini: “È da tempo che i vegetali si brevettano, almeno nei paesi occidentali, il che conferisce al titolare una serie di diritti esclusivi per un periodo limitato, solitamente inferiore ai vent’anni”.

Il nome è stato dato “associando quel tipo di grano a un marchio registrato, che non scade mai, garantendosi a tutti gli effetti un monopolio perenne”. In poche parole tutti gli alimenti a base di kamut sono prodotti da società importatrici che lo trasformano sotto autorizzazione dei Quinn.

Ma non è tutto. Il costo del cereale in questione è molto alto. Parliamo di circa 3 o 4 euro al chilo rispetto all’euro scarso di altre farine di grano duro. Secondo uno studio delle Università di Firenze e Bologna, il consumo di prodotti a base di farina Khorasan migliora le capacità antiossidanti dell’organismo e riduce glicemia e colesterolo. Ma, come ha spiegato a Ilsalvagente.it la ricercatrice del CRA Laura Rossi, “si tratta di uno studio che ha scarsa applicabilità di salute pubblica”. Il riferimento è al fatto che l’esperimento sia stato portato avanti facendo ingerire ai volontari esclusivamente prodotti a base di farina di Kamut®, dalla pasta al pane, biscotti e altri prodotti. “Il Khorasan – prosegue – non è una panacea, ma semplicemente una varietà di grano; contiene sostanzialmente gli stessi principi nutritivi: è la produzione biologica che ne fa un prodotto differente”.

Ma se gli alimenti biologici dovrebbero salvaguardare in qualche modo l’ambiente, in questo caso si rischia di non raggiungere l’obbiettivo. Il 99% del Kamut® è infatti coltivato nelle grandi pianure americane del Montana e del Canada e da lì trasportato in tutto il resto del mondo, Europa compresa. Altro che chilometro zero! E con gran soddisfazione delle imprese di trasporto e dei petrolieri che continuano a vendere carburanti inquinanti. Un impatto notevole sull’ambiente e sulla salute di tutti noi.

Un dato curioso e che merita una riflessione: circa il 50% della produzione mondiale di Kamut viene assorbita proprio dall’Italia.

In Italia si coltiva ormai da tempo, in una zona che va dalla Lucania, il Sannio e l’Abruzzo, una varietà di grano Khorasan chiamato grano Saragolla. Ma purtroppo non viene preso in considerazione un grano tradizionale a km 0, quando nelle botteghe bio si può trovare a prezzi a dir poco assurdi, il grano che arriva dall’America e che tutti dicono essere quello dell’antico popolo egiziano?

È un prodotto salutare come tantissimi altri. È questo nessuno lo nega, ma non ha proprietà che lo rendono così esageratamente eccelso come pubblicità vuole.
Vale ancora la pena comprare il Kamut? Di fatto non ha valori nutrizionali diversi da qualunque cereale duro o tenero che sia come vogliono farci credere. Inoltre alimenta un monopolio commerciale che cerca di spacciarlo come una varietà di grano ma no lo è! E tra l’altro ha un costo eccessivo superiore fino all’80% rispetto ai prodotti ottenuti con grani duri e teneri biologici e questo per il regime di monopolio e i costi di trasporto per la materia prima; ha dei costi in termini ecologici non indifferenti considerato che si produce dall’altra parte del mondo, arrivando a noi attraverso una filiera di migliaia di chilometri. In barba alla filosofia del chilometro zero. L’adozione della dieta mediterranea permetterebbe di salvaguardare non solo la salute umana ma anche l’ambiente, in virtù

• dei minori consumi energetici,
• del minore impatto potenziale sul riscaldamento globale
• del miglioramento della qualità dell’ambiente stesso per le minori emissioni in aria, acqua, suolo, etc.

La dieta Mediterranea avrebbe dunque la capacità di promuovere un più favorevole impatto sulla salute umana e sull’ambiente. Non lasciamoci trasportare da esotiche sinestesie salutiste. Soprattutto noi italiani dobbiamo ricordare che la nostra sana, buona e autentica dieta mediterranea è un patrimonio dell’umanità.

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