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G7 Taormina, le chiacchiere dei grandi vincono sul clima: Trump il vero padrone di casa

Il G7 di Taormina si chiude con un’altra sconfitta per il clima. Evidentemente la lotta ai cambiamenti climatici continua a rimanere una finta priorità per i governi dei sette grandi, nonostante le parole sembrino dire tutt’altro. Ma le chiacchiere stanno a zero, come sempre. E il riscaldamento globale la fa da padrona anche questa volta, con gli Stati Uniti di Donald Trump che non hanno ancora preso una posizione netta sugli accordi di Parigi 2015.

Una débacle su tutti i fronti, perché ai cambiamenti climatici sono legati alcuni dei temi principali che l’umanità deve affrontare: le migrazioni forzate dovute proprio al surriscaldamento terrestre; l’impoverimento di intere regioni del Pianeta, i cui terreni diventano nella maggior parte dei casi incoltivabili costringendo le persone a lasciare la propria terra; la corsa all’approvvigionamento delle risorse naturali (gas e petrolio) che sono fonte di guerre e conflitti sociali principalmente nelle aree più povere del mondo, ma che non risparmiano anche il ricco Occidente. Insomma, una catena di temi fondamentali per il Pianeta su cui i sette grandi non sono in grado di intervenire, proseguendo in una logorante strategia di posizione per favorire i giganti dell’energia e del commercio.

L’Italia è parte di questo sistema deludente, perché alle parole non fa seguire i fatti. Per quanto sia vero che il ruolo degli Stati Uniti sia determinante nell’affrontare la lotta ai cambiamenti climatici, questo non toglie che ogni singolo stato debba fare la sua parte.
Ecco perché il nostro Paese dovrebbe dare seguito alle promesse fatte in questi anni, a partire dal famigerato Green Act promesso da Renzi e scomparso nel nulla, agli accordi di Parigi.

Abbiamo invece assistito alla tendenza opposta: gli ultimi due governi hanno approvato provvedimetni contrari al clima. A partire dallo Sblocca Italia, per finire con il decreto DAFI sull’approvvigionamento e le infrastrutture del gas. L’Italia ha dato via libera alle trivellazioni per le attività estrattive, ostacolando lo sviluppo dell’efficienza energetica, della generazione distribuita e dell’autoconsumo di energia prodotto da fonti rinnovabili.

Un bilancio negativo, sul quale abbiamo tirato le somme durante il convegno “ENERGIA 5 STELLE: dal fossile ad efficienza e rinnovabili. Quale via?” il 22 maggio al Senato della Repubblica.

Più di tante chiacchiere, per l’Italia parlano i dati:

– tra il 2013 ed il 2015 la produzione da energie elettrica rinnovabili è calata del 7,5%;
– tra il 2013 ed il 2015 le emissioni di CO2 dovute alla produzione elettrica nazionale sono aumentate del 10%;
– nel 2016 è diminuita del 19% la potenza installata di nuovi impianti rinnovabili (fotovoltaico, eolico ed idroelettrico);
– nella mappa mondiale degli investimenti del settore delle rinnovabili, l’Italia è passata dal 6° posto del 2012 al 25° del 2016.

Vogliamo aggiungere le conseguenze devastanti sull’ambiente e di conseguenza sulla salute delle persone? E vogliamo considerare i grossi freni all’occupazione e alla crescita economica? Perché lo sviluppo delle nuove fonti di energia – lo dicono i principali studi internazionali – creano centinaia di migliaia di nuovi posti di lavoro per singolo Stato.

Siamo dunque costretti a dare un voto negativo anche all’Italia, perché a questo G7 si è presentata con una strategia energetica nazionale inadeguata ad affrontare le sfide per il clima e per la crescita sociale ed economica del proprio Paese. Paolo Gentiloni si è dimostrato un ospite poco convincente e molto timido di fronte al colosso Usa, che in Italia sembrava il vero padrone di casa.

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