L’Italia soffre di una forte dipendenza energetica dall’estero. Muoversi in questo quadro dunque non è per niente semplice. Eppure le potenzialità espresse dal nostro paese potrebbero farci emergere a livello globale come uno degli stati a più alto rendimento energetico, se solo la politica aprisse gli occhi valorizzando le esperienze e le competenze esistenti. In particolare parliamo di mancati investimenti nell’efficienza energetica, che riveste un ruolo determinante negli ambiti più disparati. Puntare sull’efficienza, infatti, vuol dire stimolare la crescita e lo sviluppo di un settore industriale fortemente innovativo, con la creazione di migliaia di posti di lavoro nei settori green e l’ottenimento di grandi benefici diretti come la riduzione del costo della bolletta energetica, la tutela dell’ambiente con la conseguente riduzione delle emissioni inquinanti e quindi la salvaguardia della salute di tutti noi.
Questo è un obiettivo del Movimento 5 Stelle, che dall’inizio della legislatura lavora in questa direzione. Ma entriamo nel merito della questione: nel Parlamento abbiamo numerose iniziative che purtroppo sono state ostacolate da una politica ancorata a vecchie logiche, con le quali non troviamo convergenze pratiche al momento delle votazioni in Aula.
Siamo convinti però che il nostro lavoro abbia aiutato a spostare la decisione della maggioranza su alcuni dei temi da noi sostenuti. Ad esempio sull’ecobonus, altro cavallo di battaglia del M5S. Seppur la sua stabilizzazione non è avvenuta secondo le nostre proposte, abbiamo però messo alle strette la maggioranza per ottenere le detrazioni sulle parti comuni dei condomini, fino ad attivare la proposta di un ecoprestito per le fasce più deboli della popolazione, che non potrebbero altrimenti fare alcun investimento in tal senso, con la possibilità di cedere la detrazione per stimolare maggiori investimenti. Avremmo voluto di più. Anche perché in Senato eravamo riusciti ad impegnare il Governo attraverso l’approvazione di una mozione votata all’unanimità per stabilizzare il provvedimento.
Inoltre ci siamo impegnati sulla riforma della tariffa per i clienti domestici. Abbiamo sempre denunciato l’eccesso di potere da parte dell’AEEGSI, che forte di una delega da parte delle Commissioni parlamentari sul solo “superamento della progressività” delle tariffe, ha regolamentato in modo da rendere la tariffa regressiva, spostando quindi in modo prevalente gli oneri dalla componente variabile a quella fissa. Ciò ha reso sconvenienti gli investimenti e gli interventi per l’autoconsumo, il risparmio e l’efficienza energetica (disincentivando il demand response) e facendo aumentare i costi in bolletta per milioni di consumatori delle fasce più deboli.
A distanza di poco tempo la stessa Autorità scrive al Parlamento dandoci ragione e chiedendo di intervenire per avere un indirizzo rispetto alla sua idea di rinviare di un anno il completamento della riforma, per permettere di affrontare l’incremento di spesa annua in bolletta per i clienti, dovuto dagli effetti della riforma della tariffa e dall’applicazione della disciplina sugli energivori. In questo momento potremmo intervenire con uno slittamento della riforma, ma tenendo presente le necessità di rimodulare le tariffe, garantendo che i meccanismi tariffari della distribuzione applicati ai consumatori domestici siano conformi ai principi di equità sociale, ragionevolezza dei profitti dei concessionari esclusivi e di salvaguardia dell’efficienza energetica, tenendo conto dei principi di flessibilità e di premialità verso i comportamenti responsabili recentemente stabiliti in sede europea.
Crediamo sia ora necessario mettere mano anche al mercato dei Certificati Bianchi, sul quale a metà novembre abbiamo presentato un’interrogazione al Ministro Calenda. Quello proposto dalle nuove regole è un meccanismo che non funziona. Con l’eliminazione delle schede standardizzate si è ristretto il campo operativo dell’offerta dei Certificati Bianchi ai piccoli lasciando il mercato solamente a grandi gruppi. La conseguenza è che diminuisce l’offerta a parità di domanda e il costo dei certificati, in gran parte scaricato sui consumatori, schizza in alto, anche a sopra i 350 euro. L’esplosione dei costi ha superato i 700 milioni di euro nel 2016. Mentre le stime del GSE parlano di 1,5 miliardi di euro nel 2017, per poi raggiungere il picco di 1,7 mld/anno nel prossimo biennio. Il ministero deve intervenire subito. Ma in particolare, la riforma intrapresa non doveva mettere in queste condizione il mercato. Perché a pagare saranno sempre e solo i consumatori.
Ma c’è di più. Poco si è fatto sul meccanismo del conto termico, sul quale è necessario aprire una discussione per renderlo più accessibile. I dati del GSE ci dicono che su 900 milioni di euro disponibili dal DM del 2012, al 1° novembre abbiamo spesi solamente 171 milioni di euro.
Per non parlare delle numerose nostre iniziative per la promozione dell’autoconsumo di energia da fonti rinnovabili, attraverso la possibilità di realizzare i sistemi di distribuzione chiusi che vengono sfruttati in modo fruttuoso in tutta Europa, ma che in Italia invece sono vietati.
L’elenco è lungo. Per cui torniamo a parlare di efficienza energetica. Uno sviluppo serio prevede di far partecipare le fonti rinnovabili, anche in forma aggregata, ai servizi del mercato elettrico. In particolare per il solo dispacciamento si potrebbero risparmiare milioni di euro sul costo dell’energia. Attualmente, infatti, le fonti rinnovabili non possono partecipare a questo mercato, lasciando di fatto la gestione ad un monopolio ristretto di operatori. Pensiamo a come potrebbe cambiare il quadro se solo si aprisse alla tecnologia V2G, attraverso la mobilità elettrica e ai sitemi di accumulo in generale.
Il target sull’efficienza al 2030 indicato dal governo nella SEN è troppo timido per la riduzione di soli 9 Mtep dei consumi finali di energia sottovalutato rispetto al contributo che può dare la mobilità sostenibile, su cui il documento finale conferma la carenza di obiettivi puntuali e ancor più di indicazioni sugli strumenti per favorire lo sviluppo di mezzi alternativi.
Al di la degli obbiettivi che la SEN può darsi e del suo valore, troppo enfatizzato dal punto di vista mediatico, la decarbonizzazione in Italia è ostacolata dalla mancanza di scelte politiche energetiche e climatiche efficaci, sulle quali la maggioranza si è sottratta in questa legislatura. E il problema non è la mancanza di risorse, che si possono trovare anche attraverso una politica fiscale più razionale, che colpisce chi inquina, ma di regole che non vengono applicate o che sono troppo confuse. Gli operatori non chiedono risorse ma certezza delle regole per realizzare gli interventi sulla base di calcoli di convenienza economica.
Ciò che appare evidente è dunque l’incertezza del quadro regolatorio: riforma delle tariffe domestiche e non domestiche, sistemi di distribuzione chiusi, certificati bianchi, stabilizzazione parziale dell’ecobonus, impossibilità di partecipare ai servizi dei mercati con il coinvolgimento di nuovi modelli e sistemi di accumulo, etc. Oltre che una carenza del tipo di offerta di energia e della domanda, che hanno contribuito a conservare un modello energetico fondato sulla produzione centralizzata con fonti fossili contro il quale abbiamo ancora molto da fare.